Le startup del biomedicale: un settore in crescita

Sulle 1800 startup censite dalle Camere di Commercio, 214 svolgono attività legata al  settore dei dispositivi medici.

Neuron Guard, Tensive, Wearable Exoskeleton, Niso Biomed: nomi che fanno risuonare un campanello a chiunque si occupi di innovazione in Italia. Tre startup molto diverse – la prima ha inventato un sistema per “congelare” il cervello, cercando di ridurre al minimo i danni neurologici in caso di incidente, la seconda si occupa di rigenerazione dei tessuti e chirurgia plastica, la terza, fresca vincitrice dell’ultimo Premio Marzotto, ha progettato un esoscheletro da indossare come un abito, che aumenta la forza di carico delle braccia e la deambulazione delle gambe, diventando un sostegno fondamentale per anziani e disabili, la quarta produce e rivende dispositivi diagnostici per la prevenzione di tumori e malattie gastrointestinali – che hanno in comune il fatto di cercare di operare in ambito medicale, uno dei settori in cui è in questo momento più forte la spinta innovativa.

Sulle 1800 o giù di lì startup censite dalle varie Camere di Commercio, 214 svolgono attività connessa, in maniera diretta o indiretta, al  settore dei dispositivi medici. Uno studio di Assobiomedica pubblicato da poco e che fa riferimento all’anno 2013, fornisce a questo riguarda alcuni dati interessanti. Ne emerge per esempio, che  il 67% delle realtà censite è nato come progetto pilota dalla ricerca pubblica, quindi è un prodotto Università o parchi scientifici, mentre il 3% si è sviluppato da aziende preesistenti. Dunque il tanto vituperato mondo accademico rimane in realtà il principale motore di innovazione, almeno in questo settore. Va detto però che spesso è proprio la mancanza di prospettive di carriera futura a spingere i giovani ricercatori a “tentare la fortuna” e a lanciarsi nel mondo imprenditoriale. Quasi due terzi delle startup identificate, altro dato significativo, si concentra in quattro regioni, tutte del Centro-Nord:  in testa l’Emilia-Romagna, a ruota Lombardia, Toscana e Piemonte. Uno dei soggetti più attivi in quest’ambito, è laFondazione Filarete di Milano, nata da una partnership fra Università degli Studi, Fondazione Cariplo, Intesa Sanpaolo e Camera di Commercio, proprio con l’intento di sostenere la nascita e la crescita di aziende innovative nell’ambito delle Scienze della Vita e della Salute. Oltre ad aiutare le startup nella messa a punto del business plan, a fornire supporto logistico e aiutare gli imprenditori nella ricerca di partner, Filarete organizza anche gli Healthy Startups, degli appuntamenti mensili dove vengono presentate idee innovative nell’ambito della salute.

In Emilia c’è la Fondazione Democenter-Sipe, che è molto attiva su vari fronti, biomedicale compreso. A Mirandola (Modena) sta lavorando alla creazione di “tecnopolo”
al cui interno, entro l’estate, dovrebbero operare diverse realtà innovative. Nel frattempo, la fondazione ha attivato un paio di incubatori, uno a Spilamberto e uno nella stessa Mirandola, dove sono ospitate Neuron Guard e Aferetica, un altra startup che propone soluizioni per la purificazione degli organi destinati ai trapianti.

Tornando al rapporto di Assobiomedica, è da rilevare che  la maggior parte delle startup censite (quasi il 30%) risulta operare nei dispositivi diagnostici in vitro. Quasi il 15% opera in più di un comparto e il 45% di queste si occupa di biomedicale strumentale. Marco Cantamessa, direttore di I3P, incubatore per imprese innovative del Politecnico di Torino, interpellato da Adnkronos, ha sottolineato come quello delle startup dedicate alla medicina sia un settore di ricerca molto vivace. “Ognuna di queste realtà – ha aggiunto Cantamessa – è composta da 2-3 fondatori, imprenditori che hanno voglia di scommettere e sono ambiziosi. Perché dietro la scelta di fondare una startup non c’è semplicemente una forma di autoimpiego, ma la voglia di dare vita ad una realtà solida e di ampio raggio che possa vivere sul mercato e creare posti di lavoro”.