Manovra sanità. Cosa ne pensa il Parlamento?

Il timore sono le ripercussioni sui cittadini. Ma anche il Patto per la Salute diventa “a rischio”.
L’intesa Stato Regioni per il momento è in stand by. Probabilmente se ne riparlerà dopo la scadenza delle elezioni regionali di fine maggio. Ma i contenuti della manovra sono noti e le forze politiche si interrogano sulle sue ricadute e i rischi per la tenuta del Ssn. Hanno risposto al nostro forum: Bianconi (AP), De Biasi (PD), D’Ambrosio Lettieri (FI), Grillo (M5S), Nicchi (SEL), Rondini (Lega) e Vargiu (SC).
 
Manca ancora l’intesa Stato Regioni che prevede un taglio di 2,6 mld per la sanità, ma i suoi possibili effetti fanno già discutere. Mentre Governo e Regioni sembrano intenzionati a prendersi un mese sabbatico in vista delle prossime elezioni, rimandando il tutto a giugno, abbiamo voluto chiedere  le opinioni di diversi esponenti politici dei vari schieramenti in merito alle proposte contenute nella bozza di intesa.Laura Bianconi (AP): “Se Regioni garantiranno un lavoro puntuale su percorsi di cura, sarà possibile non toccare servizi e prestazioni”
Per la vicecapogruppo di Area Popolare in Commissione Igiene e Sanità le Regioni, in relazione agli sprechi, “potrebbero toccare cose ben più importanti della sanità. A partire dalla burocrazia. Non è possibile tagliare con l’accetta la sanità: nelle aziende sanitarie si trovano ormai più amministrativi che medici. Quindi sarebbe più giusto recuperare denaro da cose obsolete: contributi a pioggia erogati su feste varie, mantenimento di sedi all’estero di cui non si capisce la necessità, senza parlare di quel flusso cospicuo di soldi legato alle attività dei Consiglieri, che spesso è oggetto delle attenzioni della Magistratura. 2,6 miliardi significano poco più di cento milioni, cifra che ogni Regione deve recuperare senza intaccare i servizi più importanti”.
Nel complesso, sottolinea Bianconi, all’interno del comparto sanitario è comunque possibile eliminare gli sprechi. “A partire dalle cosiddette prestazioni specialistiche riabilitative che dovrebbero essere prescritte solo dai medici competenti. Non solo, tali prestazioni se gestite tramite CUP garantirebbero una maggiore razionalizzazione della richiesta senza i rischi di prestazioni inevase. Con l’organizzazione in macroaree, inoltre, si eliminerebbero le duplicazione di primariati. Da rivedere, infine, anche il discorso della farmaceutica che comporta sprechi notevoli soprattutto nei pazienti affetti da malattie croniche. Molto potrebbe fare l’attivazione delle “farmacie dei servizi” in grado di fidelizzare i pazienti alla cura. In sostanza, quando si pensa ai tagli bisogna pensare anche a tutte quelle dinamiche organizzative che conducono a degli sprechi”.

Per Bianconi sarà comunque possibile non toccare i servizi e le prestazioni ai cittadini “nella misura in cui le Regioni faranno un lavoro estremamente rigoroso e puntuale sui percorsi. Abbiamo ormai tecniche sanitarie che possono abbreviare e favorire i percorsi di cura, come la telemedicina che può aiutarci nella diagnosi stando a casa o in farmacia senza ricorrere necessariamente all’ospedale. Il fascicolo elettronico garantisce la conoscenza del paziente e della sua cura a tutti i livelli dei presidi sanitari, proprio per evitare inutili duplicazioni. Il malato cronico anche attraverso un cellulare può essere monitorato per prevenire eventuali scompensi, con abbattimento di ricorso all’ospedale del 30%. In momenti di crisi bisogna attivare procedure che già esistono per non disperdere risorse importanti. E’ facile pensare di tagliare in maniera indiscriminata, visto che ciò permette di dare la colpa allo Stato, quando invece bisognerebbe guardarsi dentro e trovare modelli organizzativi capaci di prendere in carico il paziente eliminando il superfluo. Le Regioni dovrebbero chiedere con forza al Governo e quindi al Parlamento, di emanare una delle leggi più importanti per la sanità: quella del rischio clinico. Non lo dico io ma la Corte dei Conti che ha attestato come per la duplicazione di esami legati alla cosiddetta ‘medicina difensiva’, non sempre necessari, si spendono – conclude –  tra i 6 e gli 8 miliardi l’anno”.

Emilia Grazia De Biasi (PD): “Così il Patto per la salute rischia di implodere. A rischio sistensa sanitario, si inizi a parlare di universalismo selettivo”
“Il taglio da 4 mld che si chiede alle Regioni è importante, ma fa parte della spending review. Capisco quindi le loro difficoltà, così come capisco che la sanità rappresenti per loro una grandissima parte dei bilanci. Il problema che pongo, però, riguarda non tanto la quantità dei tagli quanto, piuttosto, dove si andrà a tagliare. Ad esempio, se si pone il tema dell’appropriatezza, non si può poi pensare di risolverlo con soluzioni stravaganti come l’idea della responsabilità patrimoniale dei medici. Medici che, tra l’altro, si trovano già ad operare in condizioni molto difficili. Il tema dell’appropriatezza esiste, ma va affrontato diversamente. In Italia abbiamo 21 sistemi sanitari diversi, serve un maggiore collaborazione tra Regioni. Se, infatti, si finisce per ridurre le prestazioni ospedaliere senza un’adeguata riorganizzazione territoriale, si mette in crisi l’intero sistema universalistico. A tutto questo aggiungo anche la questione riguardante la definizione dei nuovi Lea. Per non parlare del nomenclatore tariffario per protesi e ausili: non si può pensare di risolvere tutto solo con gare al ribasso per risparmiare. Anche sul tema dei farmaci innovativi, che tipo di soluzioni si troveranno? Le Regioni devono intervenire, collaborare. Non possono pensare che questi siano problemi che riguardano lo Stato”. Così la presidente della commissione Igiene e Sanità del Senato commenta la bozza di intesa tra Stato e Regioni.

Per quanto poi riguarda le soluzioni contenute nel documento. “Dipende da come intendiamo ciascuna di queste voci – ha spiegato De Biasi -. Ad esempio, cosa comporta il taglio dei primariati? Al di là del possibile risparmio bisogna prima capire che tipo di ricadute avrà in termini assistenziali sui singoli territori. Serve molto equilibrio. Penso che in questo momento il Patto della Salute sia in pericolo, rischia di implodere senza concertazione tra Stato e Regioni ma anche tra Regioni stesse. Il Patto non può essere solo un gioco amministrativo, serve un salto di mentalità. Potremmo continuare, poi, parlando della riduzione delle Asl, strada intrapresa da diverse Regioni. Al di là dei possibili risparmi, siamo sicuri che passare da un centralismo statale ad uno regionale sia la strada giusta? Infine, quanto alla farmaceutica, è vero che spesso il settore viene usato per far cassa, ma anche qui dovremmo iniziare a porci un problema più generale: non si fa abbastanza ricerca in questo Paese. Abbiamo deciso che l’Italia debba diventare solo il luogo della produzione e non della ricerca?”.

Quanto alle possibili ricadute dei tagli sui cittadini: “Dobbiamo porci questa preoccupazione. E’ il nostro compito. Il taglio è molto alto e può impattare sulla popolazione, specie nelle Regioni in Piano di rientro. E’ necessario porci, più in generale, un problema di tenuta del sistema. In chiave di sostenibilità del Ssn dovremmo iniziare a parlare della possibilità di un universalismo selettivo”.

Luigi D’Ambrosio Lettieri (FI): “Tagli, vincoli e tetti imposti dal Governo saranno devastanti sotto il profilo dell’assistenza sanitaria”
Il capogruppo in Commissione Igiene e Sanità del Senato spiega che operare risparmi in settori diversi dalla sanità “sarebbe stato possibile se le Regioni avessero messo mano seriamente agli sprechi che si annidano nella spesa per beni e servizi e reso più efficienti ed efficaci controlli e rete assistenziale territoriale attraverso una governance più efficiente. Certo, bisogna tener presente che la spesa sanitaria rappresenta l’80% del bilancio di una regione. Per alcune regioni, in misura anche superiore. Quindi, ci troviamo di fronte ad una difficoltà oggettiva. Il problema vero – sottolinea D’Ambrosio Lettieri – è l’approccio: tagli, tetti e vincoli imposti dal Governo e, per certi versi, accettati senza colpo ferire dalle Regioni – ultimo il taglio di 2, 35 mld di euro al fsn – tranne alcune eccezioni, non sono la risposta adeguata. Anzi, non faranno altro che vulnerare i principi di universalità del sistema soprattutto per quelle regioni già provate dallo stress test dei piani di rientro con blocco delle assunzioni e tagli lineari insopportabili. Il risultato non può che essere devastante sotto il profilo dell’assistenza sanitaria”.

Ragionando sulle diverse misure contenute nell’intesa il senatore di Forza Italia osserva che “i dati dell’ultimo rapporto Osmed, ma anche la Corte dei conti, indirizzano la governance sanitaria verso un percorso obbligatorio: più prevenzione e maggiore appropriatezza. In tal senso si possono ottenere risultati migliori senza ridurre i servizi e senza pregiudizio per i livelli essenziali di assistenza. Le misure contenute nella Intesa ne tengono contoi n linea generale, ma non sciolgono nodi dirimenti come l’inappropriatezza e l’equità. E, soprattutto, non modificano la logica deleteria dei tagli, in particolare in relazione alla spesa farmaceutica”. Per quanto riguarda l’appropriatezza, D’Ambrosio Lettieri ritiene che “il ricorso alla fatturazione elettronica sia un passo in avanti per contrastare gli sprechi. Conferma come la sanità digitale rappresenti una frontiera ormai irrinunciabile per efficientare il nostro sistema sanitario poiché l’attività di monitoraggio della spesa agevola i processi di pianificazione, di investimento e di controllo. Non mi sembra che vi siano risposte adeguate alla Medicina difensiva. Contro l’ inappropriatezza va combattuta una crociata, ma senza che questo comporti nuovi oneri per i cittadini e comprometta il rapporto medico-paziente. Anche per i dispositivi medici – sottolinea – va considerato che i nomenclatori tariffari hanno prezzi bloccati da anni e che introdurre tetti di spesa non mi pare proprio una buona idea: quello dei medical device é un settore ad elevato livello di tecnologia e non ritengo opportuno introdurre vincoli impropri di contenimento della spesa che si trasformerebbero in un freno per l’innovazione e lo sviluppo. Idem per i ricoveri riabilitativi. La domanda è: c’è una rete territoriale socio-assistenziale per i percorsi riabilitativi in grado di sostenere la crescente domanda dei pazienti? Abbiamo sviluppato un’assistenza domiciliare integrata adeguata ai bisogni dei malati cronici? La famiglia riesce a svolgere, come nel passato, una efficace funzione di protezione sociale a costo zero? Penso di no. Il rischio concreto è che resti inevasa una gran parte della domanda di salute e di assistenza con un inaccettabile arretramento della sanità pubblica e con effetti devastanti sulla qualità, l’innovazione, la personalizzazione delle cure e l’accessibilità ai servizi e all’assistenza”.

L’altro nodo, aggiunge, è la spesa farmaceutica. “I dati del rapporto Aifa ci consegnano una fotografia chiara: cresce ancora la spesa ospedaliera, cala quella territoriale, aumentano a dismisura ticket e compartecipazioni dei cittadini. Nell’Intesa, oltre all’ennesimo taglio e all’ennesimo tetto, è previsto anche il ripiano dello splafonamento a carico delle regioni e della filiera. L’Italia è fanalino di coda in Europa nella classifica sulla spesa farmaceutica. La nostra è una medicina che cura sempre di più e guarisce sempre di meno e questo determina inevitabilmente un aumento dei costi per la cura delle malattie croniche. A questo si aggiungono i maggiori costi dei farmaci innovativi frutto della ricerca sulla genomica. Dovremmo pensare, invece, ad aumentare il tetto della spesa farmaceutica rimettendo equilibrio fra quella ospedaliera e quella territoriale in un virtuoso sistema che agevoli il paziente, generando equità e riducendo diseguaglianze. Investire in spesa farmaceutica significa anche decongestionare l’ospedale. Invece qui si taglia una spesa già ampiamente sottostimata penalizzando un intero comparto produttivo che registra la percentuale più alta di tagli. Una follia che produce danni diretti – la riduzione della copertura assistenziale per i cittadini – e indiretti, cioè l’amputazione delle politiche di investimento nel settore che rappresentano uno dei pilastri del nostro Pil. Il taglio alla farmaceutica attraverso la revisione del prontuario, inoltre, rischia di addebitare ai cittadini ulteriori oneri economici”.

D’Ambrosio Lettieri, infine, mette in guardia rispetto alle possibili ricadute a svantaggio dei cittadini. “Se è vero che i tagli lineari hanno prodotto a livello nazionale la contrazione del deficit contabile, quindi meno spesa pubblica, è pur vero che sono i cittadini, specie le fasce più deboli, ad averne pagato le conseguenze e a rischiare di pagarne sempre di più. E’ proprio la Corte dei Conti a mettere in guardia da un pericolo concreto: quello di passare cioè da un deficit di tipo contabile ad un deficit assistenziale. Credo che l’affermazione di Governo e Regioni sia facilmente confutabile alla luce di una Intesa che contiene luci, certamente, ma ancora molte ombre. Ecco perché – conclude – il decisore politico deve avere il coraggio di confrontarsi su scelte irrinviabili inerenti un nuovo modello assistenziale che metta in protezione il servizio sanitario nazionale universale e solidale che, di questo passo, é destinato a implodere”.

Giulia Grillo (M5S): “Questo taglio alla sanità è criminale. I presidenti delle Regioni dovrebbero rifiutarsi di firmare”
Per la capogruppo del M5S in commissione Affari Sociali le Regioni non sono di certo esenti da colpe ed avrebbero potuto reperire i 2,6 mld di risparmi richiesti in altro modo, senza intervenire così pesantemente sulla sanità. “Le Regioni avrebbero certamente operare risparmi in altri settori. Prima di tutto mettendo mano ai costi della politica. I consigli regionali ci costano 1 miliardo l’anno e i consiglieri regionali italiani sono i più pagati al mondo. Sarebbe bastato un taglio di metà delle loro indennità e rimborsi per arrivare a 500 milioni di euro l’anno. Altro taglio si sarebbe potuto fare sulle auto di servizi, il cui costo totale annuo è di circa 1 miliardo che gravano in misura di circa un terzo sulle Asl. Sono spese inaccettabili. per non parlare poi dei costi delle partecipate. In Italia abbiamo 7.726 società partecipate. Ve ne sono almeno 3.000 con meno di 6 dipendenti. In circa metà delle partecipate dei Comuni censite dal Cerved il numero dei dipendenti è inferiore al numero delle persone che siedono nei consigli di amministrazione. Il sospetto è che molte siano state create principalmente per dare un posto ad amici della politica. L’ex commissario Cottarelli nella spending review ha calcolato un risparmio di 2-3 miliardi l’anno. Insomma, si potevano reperire fiondi altrove: realizzato in questo modo, questo taglio alla sanità per noi è criminale”.

Quanto alle misure previste dall’Intesa: “Ci colpiscono due cose prima di tutto. La prima è che Renzi e il suo esecutivo tagliano risorse prima di dire come e dove (contraddicendo fra l’altro i dati sul finanziamento del Ssn contenuti nei Def 2013-2014 per il 2015). La seconda è che nella bozza di intesa che circola in nessuna delle voci relative ai tagli viene indicata con esattezza la stima del risparmio previsto. Ci ritroviamo ancora una volta a tagliare andando a tentoni, senza una seria programmazione che certamente non può essere realizzata in due soli mesi – sottolinea Grillo -. Una specifica riflessione la faccio sul capitolo relativo all’appropriatezza, che è semplicemente irricevibile. Si vuole risolvere un problema decennale in meno di 30 giorni con un decreto ministeriale che, non si sa bene secondo quali criteri, dovrebbe individuare le condizioni di erogabilità e le indicazioni prioritarie per la prescrizione appropriata delle prestazioni. Saranno medici e pazienti a dover pagare per l’inadeguatezza e l’incompetenza di una classe dirigente che opera alla cieca, senza pianificazione”.

Infine, la capogruppo del M5S in XII commissione alla Camera dipinge un quadro a tinte fosche per quel che riguarda le ricadute del provvedimento sui cittadini. “Che i tagli non toccheranno i servizi e le prestazioni lo vadano a dire ai parenti della donna che è morta ieri all’Ospedale di Giarre (Ct), che è in via di smantellamento per effetto della norma Balduzzi sulla riduzione dei posti letto. La verità è che questi tagli sono immorali, che i Presidenti delle Regioni dovrebbero alzare le barricate e rifiutarsi di firmare, che il Governo Renzi dovrebbe fare due passi indietro e ripensare le sue politiche preservando la tutela dei diritti, primo tra tutti quello alla salute”.

Marisa Nicchi (SEL): “Si continua con visione ragionieristica e si colpisce la possibilità di cura delle persone”
Nicchi non usa mezzi termini e attacca con forza le misure contenute nella Legge di Stabilità. “Come volevasi dimostrare, e come già denunciato con forza – sottolinea – il contributo che il Governo con la legge di stabilità 2015 ha imposto alle regioni per il contenimento della spesa pubblica, e che si somma ai tagli previsti dalle altre misure finanziarie precedenti (per complessivi quasi 5,9 miliardi), si sta per tradurre in un nuovo pesante taglio alla sanità pubblica. Alle regioni quindi il governo centrale assegna ancora una volta il lavoro sporco di trovare risorse. Da troppi anni si assiste a questo gioco del cerino tra governo ed enti territoriali, dove a rimetterci sono solo i cittadini con taglio ai servizi e/o aumento delle tariffe (sanità, trasporto locale, scuole, servizi). Il totale dei tagli che le regioni si apprestano a fare, a seguito dell’Intesa del 26 febbraio, supera i 2,6 miliardi (2,352 miliardi di minore stanziamento del fondo sanitario, e 285 milioni in meno per l’edilizia sanitaria). In pratica le Regioni scaricheranno sulla sanità più della metà del conto. Ma il Ministro della Salute e il Governo tutto sapevano perfettamente che sarebbe andata a finire così. La sanità non poteva non essere toccata, visto che da sola copre circa il 70 per cento delle spese regionali, e scaricare ora sulle regioni la responsabilità di questa scelta è pura ipocrisia da parte dell’Esecutivo e compiacenza delle Regioni”.

Il deputato di Sel non condivide neanche l’impianto dell’intesa tra Stato e Regioni in quanto, osserva, “si continua con una visione quasi esclusivamente ragionieristica, senza avere piena consapevolezza come risparmi su prestazioni specialistiche, farmaceutica ospedaliera e territoriale, spesa del personale, dispositivi medici, si traducono quasi sempre negativamente sulla qualità delle prestazioni e sui servizi sanitari ai cittadini. Parliamo di ausili, protesi, farmaci, assistenza, esami diagnostici, ecc.. Basti pensare che tra i punti di intesa che erano stati individuati a metà aprile tra Stato e Regioni, si prevede che le prestazioni specialistiche e riabilitative ritenute non necessarie ma prescritte ugualmente dai medici, debbano essere a carico dell’assistito. Come si fa a stabilire con esattezza scientifica – domanda – se un esame prescritto da un medico sia appropriato o meno? E che senso ha farlo pagare per intero al malato qualora si ritenga la prestazione prescritta inutile? Di nuovo si colpisce la possibilità di cura delle persone”.

Nicchi, infine, ritiene inevitabile una penalizzazione per servizi e prestazioni ai cittadini. “I margini di manovra sono estremamente ridotti –evidenzia – per non tradursi ancora una volta in una ulteriore riduzione dell’offerta sanitaria. Sulla sanità, la stessa ministra Lorenzin ha ammesso che l’Italia spende il 6,8% del Pil, che è uno dei valori più bassi in Europa. Nonostante questo il Def da poco presentato in Parlamento dallo stesso governo di cui lei fa parte, non prevede alcuna inversione di tendenza, ma anzi stima una crescita per i prossimi anni della spesa sanitaria inferiore a quella del PIL, con un progressivo calo dal 6,8% del 2015 al 6,5% dell’anno 2019, nel rapporto fra spesa sanitaria e PIL. Ricordo – conclude – come la stessa Corte dei Conti, nella sua ‘Relazione sulla gestione finanziaria per l’esercizio 2013 degli enti territoriali’, ha ricordato come ulteriori risparmi, se non reinvestiti prevalentemente nei settori dove più carente è l’offerta di servizi sanitari, potrebbero rendere problematico il mantenimento dell’attuale assetto dei Lea”.

Marco Rondini (LN): “Le Regioni amministrate in modo efficiente riusciranno a evitare che i tagli incidano su servizi e prestazioni, nelle altre si registrerà un ulteriore scadimento”.
Il capogruppo leghista in Commissione Affari Sociali di Montecitorio ritiene che l’intesa si inserisca in uno spartito pronosticabile già mesi fa. “Tagli così corposi per la sanità – ragiona –  erano preventivabili appena letto il contenuto della legge di Stabilità: il comparto sanitario assorbe circa l’80% dei bilanci regionali, quindi il calcolo era abbastanza immediato. L’aspetto più assurdo e inaccettabile risiede invece nel fatto che lo Stato da una parte chiede sacrifici alle Regioni e dall’altra aumenta le proprie voci di spesa piuttosto che diminuirle. Bisogna poi evidenziare che alcune Regioni spendono in maniera responsabile ed efficiente, mentre per altre vale esattamente l’opposto e sono puntualmente quelle collocate nell’area centro-meridionale del Paese. Il problema è che vengono inserite tutte in un unico calderone e quelle che su caratterizzano per una amministrazione dissennata gravano poi anche sulle altre. Per esempio Lombardia, Veneto, Emilia Romagna e Toscana non meritano di essere trattate alla stregua del Lazio e della Sicilia”.

Rondini sottolinea poi come, a suo giudizio, “allo Stato centrale competa certamente il controllo del sistema sanitario, tuttavia sarebbe più opportuno che siano le singole Regioni a decidere se uniformarsi o meno a disposizioni dello Stato in base alle esigenze e alle peculiarità dei singoli territori. Questo principio dovrebbe per aspetti come la farmaceutica, il numero dei primariati e le prestazioni specialistiche. E’ quindi assurdo che le misure contenute nell’intesa debbano essere imposte ovunque con le stesse modalità. Nel complesso per rendere più efficiente i vari ingranaggi del sistema sarebbe bastato applicare realmente i costi standard”.

Il deputato della Lega è convinto che “nelle regioni più virtuose ed efficienti si riuscirà ad erogare la stessa entità di servizi anche a fronte dei notevoli e iniqui tagli imposti dallo Stato: questo grazie a un’amministrazione oculata e responsabile, come accade in Veneto e in Lombardia. In altre realtà, invece, come al solito la cattiva gestione peserà in maniera determinante e i tagli renderanno ancora più scadenti le prestazioni. E, come sempre accade, falle e mancanze saranno ripianate tramite un intervento dello Stato centrale. E’ quindi – conclude –  proprio il meccanismo che non funziona alla radice”.

Pierpaolo Vargiu (SC): “Difficile contrarre la spesa per 4 mld senza incidere sulla sanità. Ci saranno ripercussioni sui cittadini”
“Nelle Regioni a statuto ordinario la spesa sanitaria rappresenta circa il 70% dei bilanci. Difficile pensare di contrarre la spesa complessiva regionale di quattro miliardi senza andare ad incidere sugli stanziamenti in sanità. E altrettanto difficile è pensare di contrarre per 2,6 miliardi le risorse per il diritto alla salute dei cittadini senza ridurre la quantità e la qualità delle prestazioni”. Per il presidente della commissione Affari Sociali della Camera le Regioni avrebbero difficilmente potuto evitare di intervenire sulla sanità per coprire i risparmi di spesa previsti dalla legge di stabilità 2015.

Quanto alle misure previste nella bozza di intesa Stato Regioni: “Gli obiettivi enunciati appaiono virtuosi. Le soluzioni sembrano purtroppo inseguire la accattivante suggestione che esistano soluzioni semplici per problemi complessi – ha commentato Vargiu -. Normalmente, chi coltivasse questa illusione è destinato ad essere smentito dai fatti reali”.

Tutto questo, per il presidente della XII commissione di Montecitorio, non potrà non avere ripercussioni sui cittadini. “Credo che la necessaria rivoluzione dell’appropriatezza non si faccia per decreto, ma attraverso un percorso di consapevolezza della politica che dica una volta per tutte con chiarezza quali e quanti soldi vuole usare per la sanità, quali regole vuole per il funzionamento del sistema e quali prestazioni ritiene che debbano essere erogate con equità e universalità a tutti i cittadini italiani”, ha concluso.

Giovanni Rodriquez e Gennaro Barbieri

Fonte: QuotidianoSanità